Assicurazione r.c.: l’esclusione dei “danni alle opere in costruzione”, se formulata in modo chiaro, non può essere messa in fuori gioco da un’interpretazione ex art. 1370 c.c.

Assicurazione r.c.: l’esclusione dei “danni alle opere in costruzione”, se formulata in modo chiaro, non può essere messa in fuori gioco da un’interpretazione ex art. 1370 c.c.
10 Marzo 2017: Assicurazione r.c.: l’esclusione dei “danni alle opere in costruzione”, se formulata in modo chiaro, non può essere messa in fuori gioco da un’interpretazione ex art. 1370 c.c. 10 Marzo 2017

Le cause del nostro studio

 

E’ ricorrente nelle Condizioni generali delle polizze di assicurazione della responsabilità civile (e soprattutto quelle dei professionisti e delle imprese edili ed affini) una clausola che esclude dalla garanzia i “danni alle opere in costruzione, a quelle sulle quali si eseguono i lavori e alle Cose esistenti nell’ambito di esecuzione degli stessi”, che spesso fa discutere nei Tribunali.

La Corte d’appello di Venezia si è recentemente pronunciata con una sentenza (la n. 330/2017) che si fa apprezzare per chiarezza concettuale ed incisività.

Il caso era quello di un’impresa subappaltatrice di una parte dei lavori di costruzione di un grande complesso immobiliare, il cui dipendente aveva dimenticato acceso “un cannello ossidrico” che aveva lasciato “a contatto con la copertura in legno” del fabbricato, in tal modo causando un rovinoso incendio.

La polizza r.c. del subappaltatore prevedeva l’anzidetta esclusione, con una clausola derogatoria a favore dell’assicurato che teneva in garanzia i danni “a cose altrui” (e dunque pure alle opere in costruzione eseguite da altri) “derivanti dall’incendio di cose dell’assicurato o da lui detenute”.

Proprio in virtù di questa deroga il Tribunale aveva ritenuto operante la garanzia assicurativa, ritenendo che una interpretatio contra stipulatorem (arto 1370 c.c.), oltre che di buona fede (art. 1367 c.c.) dovesse indurre a ritenere sufficiente che l’incendio si fosse sprigionato da una “cosa dell’assicurato” (il cannello ossidrico), non essendo determinante il fatto che questo non si fosse affatto “incendiato”, come richiesto dal tenore letterale della clausola contrattuale.

La Corte veneta ha riformato la sentenza di primo grado a causa dell’errore di diritto compiuto dal primo Giudice, che non aveva correttamente applicato le regole dettate dal codice civile in tema di interpretazione del contratto.

Essa osserva che “i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia… in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi e ne escludono la concreta operatività” quando la loro applicazione “risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune volontà delle parti”.

Le regole legali di interpretazione infatti sono dirette prioritariamente a chiarire quale sia stata la volontà contrattuale delle arti (artt. 1362-1365 c.c.) e, solo quando ciò non sia possibile, ad integrarla nei modi previsti dalla seconda serie di disposizioni (art. 1366-1371 c.c.), che è dunque gerarchicamente sottordinata alla prima.

Sulla base di quella premessa, la Corte ha osservato che l’interpretazione delle clausole in questione e, in particolare, di quella derogatoria anzidetta era del tutto “chiara ed inequivocabile”, sì da non consentire di ricorrere ai criteri integrativi dettati dagli artt. 1367 e 1371 c.c…

Anzitutto, essa osserva che “un oggetto “idoneo a generare un incendio” è cosa diversa da una cosa che si è incendiata” e quindi “la cannula ossidrica non è cosa incendiata, ma oggetto… incendiante”, con la conseguenza che “l’interpretazione data dal Tribunale appare quindi non corretta e non rispondente al dato letterale, inequivoco, della clausola contrattuale”.

La Corte d’appello, peraltro, sottolinea come le clausole citate non fossero affatto “ambigue”, il che di per sé solo escludeva che ad essa potesse applicarsi il canone dettato dall’art. 1370 c.c., per poterle interpretare in senso sfavorevole all’interesse del predisponente.

Inoltre, la Corte ha escluso l’interpretazione restrittiva secondo la quale per “opere sulle quali si eseguono i lavori” debbano intendersi quelle “strettamente oggetto dell’assicurato”, e cioè quelle da lui costruite, non essendo dato comprendere per qual motivo dovrebbero invece espungersi dall’esclusione anzidetta le altre “opere in costruzione” nel medesimo cantiere danneggiate dall’incendio.

Questi rilievi offrono lo spunto per osservare come nella giurisprudenza di merito sia tanto frequente, quanto (in molti casi infondato) il ricorso prioritario e decisivo al disposto dell’art. 1370 c.c. per stravolgere in senso favorevole a quella che si ritiene la “parte debole” del contratto il significato di clausole in realtà chiarissime.

I principi giuridici affermati dalla Corte veneta evidenziano in modo esemplare l’erroneità di questa prassi operativa.

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